Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Brevi note su Rifondazione, Sinistra critica e dintorni  Ottobre 2007   Torna alle categorie

Brevi note su Rifondazione, Sinistra critica e dintorni

Ho scritto queste brevi note nell’ormai lontano ottobre 2007, ma le ho tenute nel computer, lontane dalla critica roditrice dei topi, per non influenzare, neppure in piccola parte, compagni e compagne davanti alle scelte di Sinistra critica, culminate nell’Assemblea nazionale del 7-9 dicembre.

Da ottobre ad oggi le cose sono peggiorate e per l’ulteriore involuzione di Rifondazione e per l’assurdo e vergognoso rinvio del congresso, grave dal punto di vista politico e da quello della democrazia interna.

Questo rende più difficile il lavoro di chi ha deciso di tentare e la costruzione di una opposizione interna al nostro partito ed un lavoro esterno di proposta politica, interlocuzione con altri/e, ricostruzione di un pensiero e di una prassi alternative, non contingente, non legato cioè alla semplice collocazione governativa di Rifondazione o a questa o quella sua scelta tattico/strategica.

La critica all’indefinibile rinvio del congresso si deve accompagnare a una discussione che non si limiti ai comitati federali o alle segreterie, ad una maggiore attenzione alla realtà esterna, alla capacità di indicare l’esistenza di una posizione, non di potere (posti nell’organigramma, ma strategicamente nuova e non semplicemente nostalgica o legata a questa o a quella “componente storica”.

  •  Interruzione della collaborazione governativa, iniziando dal ritiro dei nostri ministri
  •  Unità d’azione con altre forze della sinistra, ma rifiuto di “Sinistre arcobaleno” del tutto indefinite, prive di fisionomia e appiattite sul governo
  •  Grande lavoro teorico per il recupero del marxismo creativo e non dogmatico, rifiutando rimozioni, cancellazioni
  •  Partecipazione, senza gerarchie e alla pari, ai movimenti sociali, ambientali, democratici, pacifisti e internazionalisti che si muovono nella nostra società.

Sono queste le basi su cui pensiamo di spenderci e confrontarci nei prossimi mesi.

 

Brevi note su Rifondazione, Sinistra critica e dintorni.

 

Sinistra critica al Seminario di Bellaria (riuscito e partecipato) ha deciso:

  •  l’uscita da Rifondazione comunista e la costruzione di un nuovo soggetto politico
  •  la partecipazione al prossimo congresso del PRC con proprio documento, per “salutare”, proponendo non diversi equilibri interni, ma, davanti al processo per la cosa rossa, quello per formare un soggetto anticapitalista, antimperialista, femminista.

 

Abbiamo votato Sinistra critica all’ultimo congresso (2005) per infiniti motivi, tra i quali:

  •  la proposta di accordi elettorali e non politico- governisti con il centro- sinistra
  •  la proposta di un partito non burocratizzato, ma neppure “leggero”, aperto ai movimenti e a quanto si muova positivamente nella società
  •  la lettura critica della storia del movimento operaio e del comunismo, capace però di recuperare quanto di meglio questi abbiano prodotto (dall’ottobre sovietico alle riflessioni di Gramsci sulla rivoluzione fallita, dall’”eresia” luxemburghiana alla riflessione- anche autocritica- dell’ultimo Trotskij, dall’internazionalismo del Che a quello delle lotte anticoloniali ed antimperialiste), evitando i mai definiti “ritorni a Marx” (come, su che cosa, con quali valutazioni sul dopo?) e la semplicistica condanna del ‘900 (il fallimento delle rivoluzioni e del movimento comunista non cancella la grandezza del tentativo e le motivazioni su cui è nato) che non può essere letto come un tutto unico (lo stesso movimento comunista ha fasi, tendenze e volti non univoci).

A distanza di tre anni, possiamo dire, con tristezza, di avere avuto ragione e di avere previsto la deriva successiva, lo scacco della strategia di Rifondazione,le involuzioni interne, l’appiattimento sugli/sulle istituzionali, il calo di partecipazione, il disorientamento, la sfiducia.

 

Il governo

Abbiamo puntato nella campagna elettorale per le elezioni politiche su alcuni temi centrali:

  •  il “superamento” della legge 30. Sarebbe interessante risentire oggi interventi di DS, Margherita e non solo che spiegavano come i/le giovani non possano costruirsi un futuro, sposare, avere figli, accendere un mutuo in banca, avere un progetto di vita. L’accordo del luglio 2007 sul tema è la pietra tombale su questo tema. Un/a giovane non ha avuto alcun motivo per accorgersi che oggi vi è un governo diverso da quello precedente.
  •  Il “superamento” della legge Moratti sulla scuola. La politica di Fioroni ha invece riprodotto molti nodi precedenti (dalle circolari fotocopiate alla riproposizione della biforcazione tra scuola doc. e istruzione professionale contro cui abbiamo predicato per anni. La crescita esponenziale della estrema destra fra i giovani non è causata anche da queste mancate risposte?
  •  Il “superamento” (anche in questo caso cancellazione e abrogazione erano parolacce) della

     legge Bossi- Fini. La nuova legge promessa entro un anno è slittata continuamente. Oggi

     viene promessa in aula per febbraio 2008. Anche in questo caso, immigrati/e si possono

           rendere conto che esiste un governo di centro sinistra e non di destra?

Abbiamo anche chiesto per anni che si provvedesse a cancellare le “leggi ad personam” che in pochi mesi si erano costruiti il cavaliere di Arcore e la sua corte.

Ad oltre 18 mesi dalle elezioni, conflitto di interessi, proprietà di reti televisive e di mezzi di comunicazione, rogatorie internazionali, falso in bilancio e altre simili piacevolezze sono al loro posto, così come la destra le aveva volute, senza che su queste vi sia l’alibi del debito pubblico, dei vincoli internazionali.

Ancor più gravi perché toccano temi etici e coinvolgono gli stessi fondamenti del nostro essere comunisti/e sono le scelte internazionali. Se è positivo il ritiro delle truppe dall’Iraq, è eccessiva l’enfasi usata sui mutamenti della politica estera (il multilateralismo). La continuazione della nostra presenza in Afganistan è la cartina di tornasole di questo. Puerile la giustificazione di voti motivati dalla costruzione del Comitato di monitoraggio (luglio 2006) e dalla promessa della Conferenza di pace (febbraio 2007). Due voti favorevoli del nostro partito spezzano una storia che ci aveva caratterizzati come gli unici ad esserci opposti a tutte le guerre (golfo, Serbia, golfo 2, Afganistan) e come gli unici in grado di poter dire a testa alta No alla guerra senza se e senza ma.

Altrettanto grave l’aumento di spese militari nelle leggi finanziarie (13% nel 2007, 11% in quella prevista per il 2008). Tutte le proposte sulla riconversione del militare in civile, della chiusura di basi militari (a cominciare da quelle nucleari) rischiano di essere virtuali se non contraddittorie. In Piemonte, ad esempio, come continuare la giusta campagna contro la costruzione degli F 35?

La finanziaria ha rappresentato un nostro fallimento poiché non ha invertito neanche parzialmente la redistribuzione a danno dei ceti popolari cui assistiamo dagli anni ’80. Ancor più grave la mistificazione offerta dal nostro partito con una campagna (Anche i ricchi piangano) sbagliata e demagogica.

Non dimentichiamo i temi che abbiamo criticato e combattuto nel referendum sulla riforma costituzionale delle destre (giugno 2006). Molti di questi (a cominciare dal federalismo fiscale) stanno ricomparendo benedetti e voluti dal centro- sinistra (vedi scelte di DS e Margherita in Lombardia, Veneto e non solo).

Stendiamo un velo sulla chiusura dei CPT, sui PACS (anche edulcorati in Dico non muovono un passo), sulla commissione di inchiesta sui fatti di Genova, sulla laicità dello stato, sempre più sacrificata davanti all’invadenza dell’integrismo vaticano.

Questo fallimento non è nuovo. Nella fase migliore di Rifondazione, quando si è avuta la volontà di riflettere in termini non liquidatori, ma critici, sul passato, lo stesso Armando Cossutta mise in luce i limiti di fondo dell’unità nazionale, praticata dai governi nazionali tra il ’44 e il ’47 e del tentativo berlingueriano di compromesso storico, in particolare tra il 1976 e il 1979.

In ambedue i casi le spinte sociali erano state sacrificate agli equilibri politici di governo, in ambedue i casi gli errori della sinistra avevano permesso alle forze dominanti di uscire in positivo da fasi di grandi difficoltà, senza pagare prezzo alcuno e scaricando i costi sulle masse lavoratrici. In ambedue i casi quella politica aveva portato alla sconfitta elettorale e sociale.

Aggiungiamo a questo i nodi irrisolti di ogni governo di sinistra: il Partito comunista francese è uscito con le ossa rotte (ogni volta ha perso il 5% dei voti) da due esperienze governative di Sinistra plurale ed è oggi, nonostante impegno e modificazioni, una forza minoritaria, l’esperienza di Lula in Brasile ha visto irrisolti i grandi problemi sociali ed ambientali, non compiuta la riforma agraria, moltiplicarsi i fenomeni di corruzione (da qui la nascita alla sua sinistra del PSOL).

Anche noi siamo passati per questa strada. Dal 1996 al 1998 l’appoggio esterno al primo governo Prodi ci ha visti prima calare elettoralmente, poi vivere profonde contraddizioni interne, poi rompere davanti all’assenza di ogni politica sociale (precarietà, investimenti al sud, 35 ore, occupazione) subendo una scissione pesante. La svolta successiva è stata ancora una volta contraddittoria e i medesimi nodi si ripropongono oggi, moltiplicati.

 

Rifondazione

Risultano così crollati tutti i presupposti su cui si era fondata la maggioranza al congresso di Venezia (marzo 2005):

  •  la convinzione che la nostra presenza al governo sarebbe stata il tramite per le istanze dei movimenti. L’ipotesi già fallita tra il 1996 e il 1998 è stata ed è totalmente negata dai fatti.
  •  La certezza che si sarebbe aperto, anche se con contraddizioni, un grande processo riformatore (la “Grande riforma”)
  •  L’analisi di uno spostamento a sinistra (temi sociali, diritti, pace) da parte dei partiti di  centro- sinistra.
  •  L’analisi di un rapporto tra le classi tale da permettere trasformazioni profonde, innescare processi di crescita politico- sociale (dall’alternanza all’alternativa).

Il fallimento di questa prospettiva ha prodotto pesanti ricadute sul nostro partito:

  •  calo della militanza e della attività dei circoli
  •  disillusione, incertezza
  •  convinzione anche in chi ci ha votati e sostenuti che “sono tutti eguali”, che qualunque governo non è in grado di produrre cambiamenti, trasformazioni significative della realtà. Torna la logica del “meno peggio” che avevamo negato nei fatti con la difficile rottura del 1998
  •  appiattimento della attività sugli/sulle istituzionali (parlamentari, consiglieri a vario livello) con progressiva riduzione del ruolo dei circoli. La parola d’ordine del Partito comunista di massa è per questi ed altri motivi ormai completamente scomparsa dalla nostra agenda
  •  accettazione progressiva di punti di caduta che mai avremmo pensato di vedere (il voto “tattico” per le missioni di pace, il finanziamento alle scuole private, l’integrazione del privato sul pubblico nella sanità, l’attacco a settori della magistratura che, con Berlusconi, avrebbe fatto gridare al colpo di stato, la promozione degli autori dei pestaggi di Genova, accordi distruttivi su pensioni e welfare che non sono diversi da quelli che combattemmo nel 1992- 1993). L’elenco potrebbe continuare all’infinito
  •  abbandono di alcuni parametri marxisti elementari e non dogmatici, a cominciare da una identità sempre più sfocata.

Davanti a ciò, il gruppo dirigente di Rifondazione evita ogni autocritica (si veda l’ultimo Comitato politico nazionale, in particolare l’introduzione del segretario) e ripropone:

  •  il rilancio del programma elettorale dell’Unione, ad oggi non attuato neppure in parte
  •  la costruzione, scarsamente definita, della Cosa rossa, con comunisti italiani, verdi, Sinistra democratica, gruppi, associazioni, movimenti.

Il primo elemento sembra non tenere conto:

  •  dei reali rapporti di forza, non solo tra gruppi parlamentari, ma nella società e nelle forze economiche (sempre quelle) che mirano alla totale cancellazione di ogni presenza o istanza di sinistra (si legga “Il corriere della sera”, vero esempio di quotidiano- partito)
  •  dello sfarinamento della maggioranza di governo, sempre più soggetta ai ricatti di spinte centriste
  •  del fallimento, sino ad oggi, per non parlare delle esperienze passate, di ogni disegno di trasformazione in senso sociale ambientale, pacifista, laico

Il secondo (la Cosa rossa), letto come necessità anche per bilanciare la nascita del Partito democratico, nasce con contraddizioni e limiti che vengono taciuti:

  •  il diverso atteggiamento sugli accordi circa pensioni e welfare
  •  la non partecipazione di due delle quattro formazioni alla manifestazione del 20 ottobre
  •  la riluttanza dei Verdi a liste elettorali comuni e la loro prospettiva per una Costituente ambientalista (legame con i Verdi europei)
  •  l’insistenza dei Comunisti italiani su nome e simbolo
  •  le divergenze tra costruzione di un partito e federazione (la più probabile)
  •  per tutte le formazioni, la pochezza dei risultati raggiunti in diciotto mesi di governo.

Non dobbiamo dimenticare che questa ipotesi significa il profondo ridimensionamento dell’ipotesi di Sinistra europea su cui Rifondazione ha lavorato per anni e che segna un profondo cambiamenti di atteggiamento da parte nostra (perché? E perché oggi e non prima?).

La proposta di federazione è avanzata da anni da parte dei Comunisti italiani. Abbiamo sempre risposto picche. Prima delle ultime politiche Asor Rosa ha proposto liste comuni. Abbiamo risposto che era una ipotesi “politicista” e che noi eravamo con i movimenti. Diceva Bertinotti (comitato politico, 24 novembre 2001):

Facciamo allora un appello alla sinistra DS ad uscire dal partito, ci mettiamo insieme , ascoltiamo Di liberto e i Verdi, proponiamo un’aggregazione o addirittura culliamo l’illusione di costruire, contro l’ipotesi neocentrista, un nuovo partito socialdemocratico. Tutte ipotesi possibili, a cui sono totalmente contrario.

D’altronde, lo stesso Bertinotti, lo stesso anno, aveva sostenuto L’Ulivo è morto, e i militanti per anni sono stati invitati a rompere la gabbia dell’Ulivo.

La questione maggiore della costituenda Cosa rossa (nuovo soggetto, nuova soggettività, anche qui la parola partito è tabù) non è, però, solamente quella del nome (le parole comunista e verdi debbono esistere?) o del simbolo (la falce, il martello, quanto ricordi il lavoro), quanto il nodo del governo.

Così impostata, essa nasce come forza di governo, tesa a riequilibrare parzialmente a sinistra lo spostamento progressivo al centro, su posizioni liberiste di gran parte del centro- sinistra. Anche una probabile affermazione elettorale delle destre non muterebbe il quadro. Permarrebbero la subordinazione al Partito democratico, la necessità di alleanze all’interno del meccanismo bipolare, il tentativo di spostare programmi e prassi del tutto lontani dai nostri.

La federazione, pur nell’autonomia dei singoli componenti può glissare sulle differenze circa la legge elettorale, la collocazione a livello europeo (socialisti, verdi, sinistra europea, comunisti), questioni sociali (le continue dichiarazioni e azioni di Zipponi su pensioni, welfare)?

Non sarebbe più saggio pensare a forme di unità d’azione su singoli temi, ad un coordinamento- consultazione che non implichi unità affrettate e fragili tra famiglie diverse (verdi, comunisti, socialisti)?

In ogni caso, la federazione che sembra nascere su una grande domanda di unità si troverà davanti a nodi e contraddizioni che se non affrontati esploderanno a breve termine (si pensi alla scissione tra PdUP e DP (1977) o alla stessa Rifondazione.

 

Sinistra critica

In questo quadro, la scelta di Sinistra critica nasce da motivazioni ovvie ed esprime esigenze e difficoltà di tanti/e militanti.

Lo stillicidio di sconfitte, di scelte contrarie ai più elementi nostri principi è arrivato al culmine con l’espulsione di Franco Turigliatto (altri voti “fuori linea” di Cannavò, Cacciari, Caruso mai sono stati sanzionati).

Molti/e di coloro che hanno aderito a S. Cr. nel congresso scorso hanno lasciato il partito, spesso anche la militanza, delusi/e da contraddizioni, mistificazioni.

La formazione di un nuovo soggetto politico, anticapitalista ed antimperialista, aperto alle realtà di movimento (Vicenza, TAV, Mose) è risposta conseguente e tenta una impresa coraggiosa e difficile.

Chi scrive ha seguito tutto il percorso della componente in questi tre anni. Esprimendo, non da oggi, dissenso su questa scelta che pure stima e a cui augura la massima fortuna, non intende operare fronde, o inserire zeppe o, ancor peggio, creare sottocorrenti nella corrente.

Esprime semplicemente posizioni che non permettono, ad oggi, di aderire a questo percorso. Sarà da discutersi nel congresso ed in seguito, la ricerca di altri percorsi che non è escluso tornino a convergere con il primo in tempi che non è possibile prefigurare.

  •  la prima questione che poniamo è data dalle dimensioni del nuovo soggetto. Se l’associazione Sinistra critica ha raccolto in un anno mille aderenti chiedendo adesioni interne/esterne (chi se ne era andato) a Rifondazione, quanti/e saranno gli/le aderenti? Pur davanti al successo del seminario di Bellaria alcune centinaia di militanti per quanto capaci, preparati/e ed attivi/e possono costituire una forza sufficiente davanti ai problemi, alla domanda sociale, alle necessità? E quanti/e di questi/e saranno impegnati in un lavoro interno, organizzativo- burocratico e non esterno? La pochezza del partito ferrandiano dovrebbe far riflettere. E ancora, quale rapporto con le altre formazioni esterne al PRC?
  •  Perché la rottura avviene oggi e non al momento della costituzione del governo? Ferrando potrebbe rimproverarci di intempestività, di aver avuto bisogno di due anni per comprendere quanto fallimentare fosse una scelta politica
  •  Il nuovo soggetto nasce in rapporto con esperienze di base e di movimento che però seguono loro proprie logiche e strade. Quale rapporto? Quale nesso fra il fronte unitario di lotte sociali e il nuovo partito (non l’unico) ad esso vicino?
  •  Una eventuale crisi di governo potrebbe collocare a breve- medio termine Rifondazione all’opposizione. Come orientarsi in questo nuovo quadro? La linea di fondo del PRC non cambierebbe, ma si modificherebbero atteggiamenti, parole d’ordine, impatto esterno.
  •  Il sistema elettorale bipolare che probabilmente sarà ulteriormente peggiorato rende difficilissima una partecipazione elettorale (soglia di sbarramento, logica del voto utile contro cui abbiamo cozzato più di una volta).
  •  Ancora, il congresso prossimo benedirà, a larghissima maggioranza la Cosa rossa. Non illudiamoci, però, che questo produca, anche proporzionalmente, le reazioni (nome, simbolo, bandiera, identità) che produsse lo scioglimento del PCI (1991). I partiti manterranno formalmente la propria identità.

 

Per questi motivi, alcuni/e di noi da tempo propongono la costruzione per il congresso di una mozione unica di minoranza.

Conosciamo le difficoltà. Della terza mozione restano piccole frange, molti/e iscritti/e se ne sono andati, il peso dell’apparato (tutto il funzionariato, tutti i segretari di federazione, parlamentari, consiglieri/e, tranne infime eccezioni) , molti/e delusi/e non andranno neppure a votare, la seconda mozione si è divisa e all’opposizione ne resta una parte (Ernesto) le cui posizioni teoriche e identitarie sono molto lontane dal nostro orizzonte, Falce e Martello (tre anni fa la quinta mozione) insiste su una logica “entrista” e di propria crescita che fa a pugni con posizioni unitarie.

Il problema sarebbe di contrapporre alle scelte della maggioranza una posizione alternativa, ancora una volta giocata sui tre tavoli: grande lavoro teorico per una vera rifondazione, impegno sociale per riunificate e non disperdere un fronte sociale che la pratica governativa ha contribuito a frammentare, proposta politica che difenda l’autonomia di una proposta comunista capace di legarsi a quanto si muove positivamente nella società (spinte su ambiente, pace, questione di genere, radicalismo cristiano).

L’appello di Firenze, per quanto parziale, va in questa direzione. Il malessere che cogliamo in tanti settori, circoli, ambienti, singoli/e sembra confermarlo.

La tattica congressuale di Sinistra critica prende atto della rottura, per molti/e già avvenuta e se ha il pregio della nettezza e della chiarezza, ha il difetto di non interloquire con chi esprime malessere, è incerto/a, manca di indicazioni, di chiarimenti, di riferimenti, rischia di raccogliere un consenso minimo che potrà essere utilizzare per criticarne l’inconsistenza e la debolezza, come è stata usata contro di lei la non partecipazione alla manifestazione del 20 ottobre che sarebbe potuta essere fortemente critica su data (perché non prima del referendum sindacale?) e contenuti  (perché non una parola sugli accordi del 23 luglio?)

Una ipotesi di mozione di minoranza unitaria, anche se sembra impossibile, avrebbe la necessità di esprimere una spinta positiva della prima Rifondazione, quella che tentava di rimettere insieme culture, interpretazioni, letture, di sintetizzarle, di far ripartire, dal basso, discussione e confronto, di rivalorizzare le istanze di base. Darebbe a iscritti/e e militanti la percezione di una alternativa, la speranza di poter ancora contare, eviterebbe dispersioni, ricadute sulla maggioranza, forse uscite o abbandono dell’impegno.

Le scelte, tutte comprensibili e motivate, di costruzione immediata di una nuova realtà vanno verso una strada diversa, ma rischiano di non intercettare che molto parzialmente un malessere esistente.

 

Ripetiamo che queste sono osservazioni semplici e forse banali, che non tendono a costruire sottocorrenti né a creare difficoltà a chi ha intrapreso un cammino entusiasmante, ma colmo di problemi. Neppure intendono riproporre una discussione per i più già conclusa da tempo.

Servono semplicemente a razionalizzare incertezze, critiche e a motivare (non a giustificare) un percorso, non sappiamo per quanto tempo, diverso.

 

Ottobre 2007